Specchio della psiche e della civiltà
GIUSEPPE PERRELLA
NOTE E NOTIZIE - Anno XVIII – 22 maggio 2021.
Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org
della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia).
Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società,
la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici
selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste
e il cui argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.
[Tipologia del testo: SAGGIO BREVE/DISCUSSIONE]
(Settima Parte)
12. Il tempo e lo spazio vissuti sono riflessi della mente
rinascimentale che proviamo a incontrare nell’immaginario. Prima di
proseguire sulle tracce storiche della biografia di Leonardo da Vinci che, pur unico
e inimitabile nella sua eccellenza può essere assunto quale esempio di una
sensibilità diffusa e di una disposizione della mente che rende ragione di
quella parte comune nello stile del pensiero di quanti hanno vissuto ciò che
chiamiamo Rinascimento, desidero soffermarmi su alcuni aspetti che attengono
alla dimensione temporale nei luoghi dell’esperienza dell’epoca.
Dal modello della lentezza ordinata e monotona della vita claustrale all’intensità
quotidiana ispirata al desiderio di rinascere del popolo, così come di mecenati
e governanti, si compie un mutamento che deve aver inciso in modo assoluto
sulla psicologia dei soggetti storici. Accade che si possa assaporare il gusto
di esistere nella libertà di agire e nel potere di cambiare l’esterno per
renderlo nuovo e adeguato a un ritmo interiore nutrito dell’ottimismo di uno
stato d’animo diffuso, improntato alla forza espressa dalla gioia nella salute
della giovinezza.
Il tempo dell’Io, l’Ich Zeit dei
fenomenologi, ha una nuova frequenza, che corre, salta, balla, monta a cavallo
e raggiunge ogni luogo rendendolo una meta, conferendogli senso, avvicinandolo
agli altri, creando incessantemente reti di rapporti e canali di comunicazione,
facendo diventare questa intensità del soggetto tempo del mondo, Welt Zeit. È come se si fosse passati dal
modello antropologico di una vecchiaia rassegnata a quello di una giovinezza
felice. Il dinamismo interiore si esprime realizzando opere, cambiando in breve
tempo l’aspetto delle città, delle case o semplicemente di sé stessi e del
proprio abbigliamento, come accadeva grazie agli epigoni del pittore, scultore
e orafo Adrea di Cione detto Andrea del Verrocchio[1], considerato il primo designer
e stilista di moda della storia, che disegnava dai profili delle grondaie alle
fibbie di cinture e calzari, oltre a realizzare gioielli e monili personalizzati
in grado di conferire esclusività e fascino simbolico.
In quella realtà è in auge la parola “messaggio”, perché a ogni ora del
giorno i messi percorrono al galoppo le vie cittadine e del contado per
recapitare missive amorose, componimenti poetici, inviti per ospiti,
convocazioni presso i signori, lettere commerciali, richieste di lavoro, avviso
di completamento di un’opera, solleciti di pagamento, disposizioni normative,
ingiunzioni delle autorità, permessi e concessioni.
Al piede della facciata dei palazzi rinascimentali compaiono delle
strutture in pietra che percorrono l’intera lunghezza e sono dette panche di
via: un segno di ospitale apertura verso l’esterno che consente riposo al
viandante ma, soprattutto quando più alte e spaziose come quelle sul versante
di San Lorenzo del Palazzo Medici Riccardi, sono banchi per la vendita offerti
gratuitamente agli ambulanti e si legge che fossero costantemente occupati[2].
In Firenze le botteghe artigiane sono tutto un risuonare di martelli che
battono chiodi, fanno vibrare incudini e animano gli scalpelli, e di seghe, pialle,
lime e pomici che creano rumori di fondo, che poco a poco cambiano, come quando
si vada da Piazza di San Giovanni in Piazza della Signoria percorrendo la Via
de’ Calzaiuoli nel tratto chiamato a quel tempo Corso dei
Pittori, dove l’odore uniforme delle colle cede il passo agli effluvi
aromatici a volte aspri, a volte balsamici o dolci delle resine e delle essenze
con le quali gli artisti preparano il medium di diluizione del colore,
ciascuno secondo la propria ricetta, non di rado tenuta segreta. I pennelli di
vaio, martora, ermellino, che scorrono sulla superficie di tavole o su tele preparate
e lisce come seta non fanno rumore e, dunque, l’esterno delle silenziose botteghe
di pittura, innanzi alle quali la gente si ferma per guardare le opere poste ad
asciugare, è il luogo preferito da suonatori esperti e giovani musici
improvvisati, che si appressano più sperando di trovare commesse da procaccini
che con l’intento di esibire le proprie virtù di esecutori.
Il risuonare sui basoli delle pesanti ruote dei carri che si dirigono alle
botteghe dei Grandi Speziali si distingue dal rumore degli innumerevoli veicoli
in marcia spedita verso logge e palazzi di mercatanzia o per portare grano nel
granaio della chiesa di Orsanmichele, e fanno un lieto e gradito rumore perché
annunciano l’arrivo dall’Oriente o da altre regioni lontane di novità esotiche,
insieme con pietre, essenze, resine, terre rare e tanto altro materiale grosso
che sarà poi trattato dai Piccoli Speziali, ovvero i farmacisti dell’epoca. Non
mancano i carri scoperti dei cerretani con musici e istrioniche attrazioni per
gabbare i gonzi, mentre saltimbanchi e declamatori si alternano in spazi propri,
col proprio pubblico.
È facile intuire quanto queste condizioni contribuissero a suscitare,
particolarmente nei giovani, il desiderio di partecipare, magari con l’illusione
di esibirsi sul palcoscenico del mondo e della storia, come accadeva nelle polis
greche e nelle prospere città romane di epoca classica.
Non si può negare che nella massima parte dei casi nella vita monastica,
anche in quei monasteri giganteschi che erano delle vere e proprie città con
tutte le funzioni sociali caratteristiche, era stato eliminato il disturbo
entropico causato nel mondo esterno da chi agisce progettualmente nel male e vive
di reati contro il prossimo, ma allo stesso tempo erano state escluse tutte le
occasioni di compiere il bene che derivano dalla casualità degli incontri e
degli eventi della normale vita cittadina.
Nella culla del Rinascimento si vive di cultura e, in una certa misura, un
po’ tutti si cimentano in qualche attività artistica o culturale, anche quando
si difetta di formazione e talento. Faceva parte del corteggiamento fare il
ritratto della persona amata, comporre canzoni, recitare brani e mostrare abilità
d’intelletto. Alcuni tentavano la via dell’arte per pura passione, ma poi per
vivere erano costretti a fare altri mestieri, come Mariotto Albertinelli,
valente pittore oscurato dai giganti dell’epoca, che lasciò i pennelli e aprì
una trattoria frequentata da Michelangelo e dai maggiori artisti di Firenze o
di passaggio in città[3].
Mentre nel Medioevo le contese tra singoli come tra fazioni politiche erano
di norma regolate con la spada e, in generale, il contrapporsi causava azioni
di forza, costrizione e violenza perché nell’immaginario collettivo era
scomparso il contraddittore dialettico e ogni oppositore o avversario era
potenzialmente considerato un nemico, nel Rinascimento si ritorna alla pratica
del dialogo fra opposti, alle virtù retoriche della parola, allo strumento
della mediazione, al ricorso ai valori super partes per dirimere le controversie.
Al tempo di Dante, i Priori delle Arti, assediati dalle minacce dei potenti,
furono costretti a rinchiudersi in quella che si chiamò la Torre della Castagna
per esercitare in clandestinità il potere decisionale su istanze e mozioni
delle corporazioni col voto, consistente nel deporre in un sacchetto, se si era
favorevoli, una castagna, a Firenze chiamata “ballotta”, e nell’astenersi se
contrari alla decisione. Questa pratica, da cui nasce l’espressione “ballottaggio”,
ci rende conto della necessità dell’isolamento dei Priori, chiusi cum clave,
in conclave, per necessità e paura[4].
Al contrario, nel Rinascimento lo strumento della diplomazia acquista un
ruolo fondamentale: si discute e si tratta non solo con gli avversari, ma anche
con i nemici. Un esempio è quello di Cesare Petrucci, noto per aver contribuito
a sventare in parte la congiura dei Pazzi come Gonfaloniere di Giustizia di
Firenze, carica ottenuta per l’abilità diplomatica mostrata quando era Podestà
di Prato: mentre la cittadina era cinta d’assedio e minacciata di distruzione, un
suo memorabile e appassionante discorso pubblico tenne impegnati i capi nemici
il tempo necessario perché arrivassero da Firenze contingenti miliari in grado di
dissuadere gli assedianti dai loro propositi e metterli in fuga[5].
La figura sociale della donna cambia in modo radicale e, soprattutto nei
ceti più elevati, tende a riprendere il peso politico che era stato delle matrone
o, prima ancora, delle ateniesi colte. Cito a memoria: Bianca Maria Visconti, letterata
umanista, oltre che amazzone e cacciatrice, fu madre di Lodovico il Moro; Lucrezia
Tornabuoni, autrice di poemi sacri e madre di Lorenzo il Magnifico; Vittoria Colonna,
pregevole poetessa celebrata da Ludovico Ariosto, amica e ispiratrice di
Michelangelo per la virtù di fedeltà coniugale; Caterina de’ Medici, divenuta
regina di Francia; Bianca Maria Sforza che, sposando Massimiliano I, divenne imperatrice
consorte del Sacro Romano Impero; e, infine, Lucrezia Borgia che fu umanista e
mecenate, a dispetto di trame romanzate sulla sua vita, tessute nei secoli a
partire da calunnie con le quali fu infamata per rivalsa[6]. Anche se gli storici delle epoche
successive raramente hanno studiato queste grandi donne come meritavano, per i
contemporanei hanno avuto un’importanza assoluta, incidendo sulla vita della
collettività e, talvolta, assurgendo a modello per le generazioni future[7].
Nel Rinascimento una parte considerevole della cultura copiata, tradotta, meditata,
analizzata e prodotta ex novo al chiuso dei monasteri entra a far parte
della vita quotidiana di molti e potenzialmente di tutti, fornendo uno spettro
multiforme di materie e oggetti di conoscenza a una società che coltivava il valore
della solerte buona volontà ed esecrava il peccato di ignavia: non meraviglia,
dunque, lo stereotipo di uomo di molteplici attività per il soggetto
rinascimentale.
E questo ci riporta a colui che lo incarna come massima espressione. Ma è
lecito chiedersi: come era realmente Leonardo da Vinci?
13. Il vero Leonardo emerge dai documenti, smentisce gli stereotipi e
aiuta a comprendere il Rinascimento. Ogni volta che attraverso Ponte
Vecchio, e particolarmente nei pomeriggi di bel tempo in primavera e in estate,
rammento le parole di Leonardo su quanto sono belli i volti delle persone in
quella luce calda che precede il tramonto, e penso che lui viveva di queste
estasi non meno che della forza perseverante del suo “ostinato rigore” nell’applicare
l’ingegno alla laboriosità quotidiana.
Leggo di Leonardo fin da quando ero ragazzo e, se sui dati e le
interpretazioni storiche non posso far altro che riportare quelli più
accreditati e convincenti, per ciò che riguarda la personalità qualche convinzione,
basata su mie deduzioni e inferenze, l’ho maturata. Non ho certezze e, come in
passato, sono sempre disposto a mettere in discussione le mie tesi; tuttavia,
devo dire che in numerose conversazioni con studiosi dell’argomento ho ricevuto
approvazione, interesse e condivisione[8]. In particolare, sembra che molti
siano disposti ad accettare l’idea che Leonardo avesse un regime di equilibrio interiore
notevolmente stabile e in grado di garantirgli serenità di fondo e forza nell’affrontare
tanto la vita quotidiana ordinaria quanto le avversità impreviste.
L’anima libera, nobile che sottomette le altre cose a sé senza lasciarsi
sottomettere da alcuna di esse, di cui parla Seneca in una lettera a Lucilio[9], mi sembra rendere perfettamente la
personalità del Genio vinciano che, tuttavia, aveva raggiunto questo stato seguendo
principi diversi da quelli ispiratori della prassi di vita consigliata dal
filosofo di Cordova come “terapia per i mali dell’anima”.
Carlo Pedretti, il massimo esperto al mondo di studi vinciani, aveva combattuto
dalla sua cattedra di Los Angeles (UCLA) strenue battaglie in convegni e
congressi contro i propagatori dei vecchi stereotipi nati da confabulazioni rese
leggendarie da psittacismo pedissequo, e si augurava che nel terzo millennio si
riuscisse finalmente a recuperare la vera identità culturale e umana di
Leonardo da Vinci[10]. Non posso che associarmi a questo
auspicio, perché l’immagine creata nei secoli ad arte e fantasia ha oscurato la
vera personalità e la sua diretta influenza sulla cultura italiana ed europea
in modi che emergono con un’evidenza sempre maggiore dalle tracce documentali. Se
non si abbandonano i vecchi stereotipi riesce difficile rilevare, riconoscere e
apprezzare gli effetti prodotti dal lavoro di questo grande maestro di
conoscenza, abilità e comunicazione: “Era morto una prima volta in Francia il 2
maggio 1519, e tante volte ancora negli scritti dei posteri. Quelli che ne
proclamavano l’immortalità”[11].
Una parte delle deformazioni confabulate da autori del passato può
ascriversi alla tendenza psicologica inconscia (bias) a cercare il
negativo nelle persone eccezionali, quasi a compensare la sensazione di frustrazione
o inferiorità, provata particolarmente dalle persone affettivamente immature nell’accostarsi
a chi sentono migliore di sé[12]: incapaci di provare ammirazione
per limiti psicologici, educativi o di entrambi i generi, cercano di dipingere
l’altro come un “diverso” in tutti i sensi e, per questo, “deviante dalla norma”.
Da questo esercizio poco edificante deriva l’accezione semantica negativa che
si è data di recente all’espressione “mostro di bravura”, originata invece dal monstrum
latino che indicava il prodigio, il portento, il fenomeno eccezionale.
Da testimonianze storiche che narrano di un laboratorio colmo di misteri
nel quale il maestro custodiva pipistrelli e carcasse di vari animali per
studiarli e riprodurli graficamente, nasce l’invenzione di una “fama sinistra”[13]; dagli studi anatomici fatti in S.
Maria Nova con gli amici medici e l’autorizzazione della Chiesa, nasce la “leggenda”
di un Leonardo che andava nottetempo a dissotterrare i cadaveri di persone
morte da poco[14].
Dalla falsa accusa di sodomia, si è giunti a immaginarlo omosessuale e
proporlo come tale, trasformando in indizi tutte le tracce documentali che si
prestavano ad essere manipolate; e poi, di citazione in citazione, si è finito con
lo scambiare per prove le costruzioni realizzate sui presunti indizi. Si è
arrivati a sostenere, con un arbitrio privo di qualsiasi giustificazione, che
il modello per la Gioconda fosse un uomo e questa assurda tesi è stata proposta
anche in manuali ad uso scolastico, fino a quando non è stata scoperta con
solare evidenza, attraverso la documentazione su tutta la vita di Lisa
Gherardini, inclusi gli atti di nascita e matrimonio, la vera identità della
Gioconda. Dal saggio di Monica Lanfredini sull’argomento traggo questo brano:
“È più di un semplice sospetto che il dato storico
dell’accusa di sodomia rivolta a Leonardo abbia influito sulla mente di
queste persone, colpendo la loro fantasia. Anche se, come si legge in ogni
trattazione della vita del Genio toscano, anche la più sintetica e rabberciata,
l’accusa fu ritenuta falsa e Leonardo scagionato. D’altra parte, è noto che nel
Medioevo e nel Rinascimento l’accusa di sodomia era frequente strumento
di attacco ed offesa, spesso impiegata contro avversari politici o rivali professionali,
perché in un sistema inquisitorio, in cui l’onere della prova era a carico
dell’accusato, quella calunnia risultava molto efficace nel diffamare e
difficile da confutare mediante prove”[15].
Una delle tante “censure” involontarie esercitate dalla storiografia “di
genere” basata su stereotipi creati dall’immaginazione narrativa e affermatisi
per il loro potere suggestivo, riguarda il Leonardo cristiano. Certo, chi lo ha
idealmente accostato ai fisici del diciassettesimo secolo o immaginato come un uomo
di scienza del diciannovesimo secolo, quando la maggioranza dei protagonisti
della ricerca non era credente e si divideva fra meccanicismo agnostico, positivismo,
materialismo, darwinismo e ateismo logico-empirico, si comprende che possa averne
trascurato la spiritualità; ma ha commesso un grave errore, perché la massima
parte della pittura di Leonardo è di soggetto sacro e il progetto di ciascun
dipinto non è semplicemente un saggio di disegno, composizione e colore o una
prova di abilità innovativa nella rappresentazione di figure nello spazio, è
soprattutto un’opera di comunicazione spirituale attraverso il linguaggio
analogico, simbolico ed evocativo della pittura.
In un manoscritto, generalmente studiato col Codice Arundel,
in cui Leonardo annota in modo esplicito come avvenga un approccio sessuale con
una donna[16] e chiama “lussuria” questo
desiderio, sullo stesso foglio compare un appunto verosimilmente interrotto o
sospeso per ragioni che non conosciamo; era stato da sempre sotto gli occhi di
studiosi e curiosi appassionati di studi leonardeschi, ma era stato trascurato,
forse per ignoranza, fino a quando lo mise in luce Carlo Pedretti. Si legge: “Catena
aurea”. Il titolo della grandiosa silloge tomista sui vangeli, offerta al mondo
come guida certa nell’esegesi anagogica per la guida delle anime alla
comprensione della parola salvifica, al fine di metterla in pratica nella vita.
San Tommaso d’Aquino, detto Dottore Angelico della Chiesa, era tra i maggiori
riferimenti spirituali e culturali della città di Firenze, come testimonia il
dipinto del Beato Angelico, commissionato da Cosimo de’ Medici ed eseguito una
decina d’anni prima della nascita di Leonardo nel chiostro detto di Sant’Antonino
del convento di San Marco[17]. L’opera è costituita da una lunetta
dominata dalla figura del santo che mostra, tenendolo aperto verso l’osservatore,
il grande volume della Summa Teologica.
La Catena aurea – Glossa continua super Evangelia, concepita da
Tommaso per la formazione dei sacerdoti e la preparazione dei predicatori, realizza
un commento “continuo” dei Vangeli concatenando, versetto dopo versetto, le
citazioni interpretative dei Padri della Chiesa su ciascuno di essi, così da
creare l’effetto di un testo unico che racchiude in sé l’essenza della sapienza
interpretativa e pastorale cristiana.
Un testo impegnativo che non sarebbe mai letto, e men che meno studiato, da
una persona non credente. Un’opera domenicana, ma considerata fondamentale in
tutta la cultura monastica; quella cultura ritenuta da una certa storiografia estranea
a Leonardo che, invece, aveva sempre avuto frequentazioni claustrali e, come
provano documenti scoperti di recente, aveva alloggiato e vissuto per un
periodo presso i monaci dell’Annunziata[18]. La precoce impronta educativa si deduce
dal modo severo di condurre sé stesso “con ostinato rigore” e dal perseverante esercizio
di buona volontà quotidiano nell’attendere col massimo impegno al lavoro e ai
numerosi compiti aggiuntivi dettati dal suo genio, che gli conferiscono un’intensità
di esperienza tale da ispirargli la celebre frase del Codice Trivulziano: “La
vita bene spesa lunga è”[19].
Ma torniamo a Tommaso d’Aquino. L’autore della Catena aurea, durante
gli ultimi anni della sua vita trascorsi a Napoli, si procurava testi
filosofici classici per leggerli e commentarli con i confratelli e illustrarne
i contenuti agli studenti; è interessante notare – e più avanti sarà chiara la
ragione – lo studio delle opere scientifiche di Aristotele e di altri autori
classici che propongono ipotesi sui fenomeni atmosferici e sui terremoti. Ma,
soprattutto, è da notare che Tommaso si procura trattati antichi sulla
costruzione degli acquedotti e le possibilità di applicazione della geometria
alle costruzioni, traducendo testi greci e commentandoli in latino.
Leonardo definisce sé stesso un omo sanza lettere, espressione sulla
quale si è speculato e ricamato con superficialità, intendendo la dichiarazione
un’ammissione di ignoranza quasi da analfabeta, nel senso odierno attribuito al
termine inglese illetterate.
In realtà l’autore della Gioconda, quando scrive quelle parole, non
conosce il greco e conosce imperfettamente il latino, cosa che non gli consente
di leggere e studiare i classici, le autorità del pensiero antico, per trarne
scienza e sapienza, come fanno gli uomini colti in Firenze e, sebbene abbia
lasciato tracce scritte di argomentazioni difensive circa la sua scelta di preferire
lo studio empirico, non sembra sia stato sempre contento dei limiti che gli
derivavano da questo difetto di formazione. Gli appunti vergati di sua mano
lasciano facilmente intendere che ogni sua considerazione al riguardo deriva da
discussioni, dispute e confronto di opinioni in circostanze sociali di incontro
con interlocutori verosimilmente autorevoli, o tali nel suo concetto, da non
poterli ignorare.
Su uno dei fogli del Codice Atlantico (76) appunta: “Chi disputa
allegando l’autorità non adopra lo ’ngegno ma più tosto la memoria”. Se si ha presente
che “fare citazioni” si diceva allegare e che per “autorità” si intendevano
i maggiori protagonisti della cultura classica, ben si comprende l’opinione di
Leonardo circa la superiorità del ragionamento ingegnoso sul semplice ricordare
concetti e frasi celebri.
Tuttavia, la questione più rilevante, emersa dagli studi storici e di
fondamentale importanza per capire la straordinaria influenza di Leonardo sulla
cultura del suo tempo, è la sua decisione di non essere più un “omo sanza
lettere” e immergersi nella cultura classica. Il suo intento non è certo quello
di spigolare spunti per rivaleggiare in citazioni con i suoi interlocutori
sociali, ma trarre degli insegnamenti da sviluppare in chiave teorica, tecnica
e pratica[20]. L’autore della Vergine delle rocce
era si un cultore dell’abilità esecutiva e della messa in opera delle idee, ma
amava allo stesso modo la deduzione di principi, regole, paradigmi e massime;
infatti, tendeva a impossessarsi delle chiavi conoscitive derivanti da ogni
sapere e sentiva il desiderio e forse il dovere della trasmissione, da lui
appresa dal Verrocchio come parte essenziale del ruolo del maestro dell’arte.
Pedretti osserva: “Dall’apprendistato brunelleschiano nella Firenze degli
anni Settanta del Quattrocento al tentativo di immergersi nei grandi testi
della cultura classica e contemporanea compiuto durante il primo soggiorno
milanese, il cambiamento fu notevole. Così come di grande significato fu lo
sforzo di impadronirsi della geometria, compiuto tra la fine del Quattrocento e
il primo decennio del Cinquecento sotto la guida dell’amico Luca Pacioli”[21].
Questa nuova formazione mutò profondamente il suo approccio alla conoscenza
e lo portò a concepire un progetto ambiziosissimo che, con un linguaggio attuale,
potremmo definire la realizzazione di un’enciclopedia universale della scienza
e della tecnica.
Leonardo amava studiare per inferenza disegnando; in altre parole,
usando i processi esecutivi cerebrali necessari alla riproduzione grafica
rifletteva su ciò che voleva conoscere. In un certo senso, generalizzava il
concetto di “studio” in pittura, che consiste nel conoscere le forme imitandole
mediante il disegno, secondo un piano progressivo che va dallo schizzo
accennato dei volumi maggiori fino alla definizione dei dettagli, procedendo
col continuo confronto e la correzione degli errori, un po’ come nel procedere
sperimentale “per tentativo ed errore”. Quando si è abili, questo genere di
studio è immediatamente gratificante.
Quando l’autore dell’uomo vitruviano, ossia del disegno dell’uomo a braccia
aperte in un cerchio quale canone di proporzioni, scopre il piacere della
cultura classica, sente anche l’esigenza di arricchire il suo linguaggio. All’epoca
non esistevano i vocabolari e, dunque, come facevano i Greci antichi che,
filosofi o poeti che fossero, chiamiamo lessicografi perché scrivevano repertori
di parole talvolta annotandone il significato, Leonardo prende a registrare liste
di vocaboli da ricordare, come si vede dalle sue annotazioni del Codice
Trivulziano. Provando a studiare le autorità antiche, anche attraverso le
traduzioni in latino, si rende conto di quanta scienza si possa imparare dai
Greci e da tutti gli autori di cultura ellenica.
Epicuro, il filosofo autore dei principali concetti-guida del pensiero nella
cultura ellenistica e fautore della centralità del fine etico nell’esercizio
filosofico necessario alla vita felice, cerca la spiegazione di fenomeni
naturali col solo strumento della logica applicata all’osservazione e, spesso,
giunge a conclusioni sorprendentemente vicine alle interpretazioni scientifiche
attuali. Si pensi alla descrizione nella Lettera a Pitocle
del formarsi delle trombe d’aria: “…per il turbine del vento, quando una massa
d’aria esercita una spinta dall’alto e vi è un abbondante flusso di venti che
non può effondersi lateralmente per la pressione dell’aria circostante. E
quando il ciclone si abbatte sulla terra si hanno i turbini, che si formano a
seconda del movimento del vento; quando invece si abbatte sul mare si hanno le
trombe marine”[22]. O l’intuizione dei terremoti
tettonici: “I terremoti è possibile che avvengano perché la terra […] o perché
piccole parti di essa sono contigue e in continuo movimento, cosa che ne
provoca lo scuotimento”[23].
Aristotele propone criteri di classificazione biologica che aiutano, ad esempio,
a notare negli animali tratti distintivi della classe di appartenenza,
consentendo di guardare con occhi nuovi e vedere con la ragione molto più di
quanto si riesca a percepire spontaneamente. Il Codice delle Acque riprende
migliorandoli i disegni dell’amico Francesco di Giorgio Martini, ma Leonardo
comprende che lo studio della meccanica dei fluidi richiede che si conosca
quanto è stato già acquisito dai filosofi sperimentatori dell’antichità per non
rischiare di illudersi di aver scoperto ciò che è stato accertato e dimostrato
in tempi remoti, e provare invece ad andare oltre quel sapere.
È lecito chiedersi se nella scelta di studiare la geometria per applicarla
alle costruzioni, la meccanica delle acque e tutto il sapere antico su questi
argomenti, Leonardo non stia seguendo la via già percorsa da Tommaso d’Aquino
che, come abbiamo visto, aveva sicuramente studiato.
Archimede, già riscoperto da alcuni in epoca medievale, è proposto nel XV
secolo dagli umanisti per la rinascita della scienza, e l’indagine storica ha
stabilito che era “un punto di riferimento obbligato del dibattito scientifico”[24]. Gli ingegneri, come l’Alberti e il
di Giorgio Martini, conoscono le opere di Archimede sia nel testo greco, che
Poliziano farà copiare a Venezia per la Libreria Medicea come testimonia l’esemplare
posseduto da Lorenzo Valla, sia nelle due versioni latine, quella medievale di Moerbeke e quella rinascimentale di Jacopo da Cremona.
Così Leonardo conosce Archimede: si tratta per lui della scoperta di un
metodo di indagine geometrico-meccanico della realtà, dal quale deriva l’indirizzo
razionale che darà luogo nel secolo successivo alla nascita del metodo
scientifico.
Dai manoscritti sappiamo che consultò la Dimensio
circuli pubblicata dal vescovo Luca Gaurico nel 1504, e che studiò l’Equilibrio dei piani e
i Galleggianti perché in parte li trascrisse nel Codice Atlantico. In
breve, come attestato da molti brani, Leonardo nutriva una così grande
ammirazione per Archimede da diventarne un suo moderno epigono. Tale fama di
seguace di Archimede, unita alla sua di artista e ingegnere, indussero il Gaurico a realizzare un’edizione di scritti del fisico,
ingegnere e inventore di Siracusa in cui cita Leonardo definendolo “notissimo
per il suo ingegno archimedeo”[25].
Mi dispiace non poter corredare di illustrazioni questo testo, per un’osservazione
su due pagine di codici che merita il riscontro dello sguardo del lettore, ma
confido che le indicazioni che riporto di seguito possano consentire la visione
pur differita di una riproduzione dei due fogli.
Il primo mostra studi sulle caustiche di riflessione ispirati agli specchi
ustori di Archimede ed è il foglio 87v del Codice Arundel
(1508 circa); il secondo contiene studi di specchi parabolici per lo
sfruttamento dell’energia solare ed è il foglio 750r del Codice
Atlantico (1513-1515 circa).
Difficile immaginare qualcosa di più geometrico della rappresentazione degli
schemi di linee in studi di ottica, e basta sfogliare dei libri di fisica per
rendersi conto di cosa intendo. Non sono rappresentati oggetti, non è in
questione la resa chiaroscurale delle forme, il suggerimento con i tratti delle
consistenze o delle trasparenze: solo linee geometriche.
Eppure, disegnati da Leonardo, questi schemi sono di una bellezza assoluta.
I fasci di rette sottili sembrano sfumare, quelle convergenti o in torsione
creano piani che docilmente possono ruotare sotto i nostri occhi; fino all’ultimo
segno, tutto contribuisce a creare la generale armonia di un insieme che ha la
magia di una grande musica eseguita dalla più sintonica e virtuosa delle
orchestre. Potrei anche spiegare in termini di tecnica grafica ed effetto
percettivo perché appaiono tali ai nostri occhi, ma lo ritengo superfluo, perché
credo che valga notare proprio ciò che risulta evidente: l’esercizio precoce
aveva conferito come un senso quasi naturale il dono di essere nella bellezza e
donarla in ogni opera agli altri.
[continua]
L’autore della nota ringrazia la
dottoressa Isabella Floriani per la correzione della bozza e invita alla lettura degli scritti di argomento connesso che appaiono nella sezione
“NOTE E NOTIZIE” del sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).
Giuseppe Perrella
BM&L-22 maggio 2021
[1] Andrea di Cione, maestro di
Leonardo, Perugino e Botticelli, era chiamato “Andrea del Verrocchio” perché
era stato allievo di un artista chiamato a Firenze “Verrocchio” e identificato
dagli storici con l’orafo Giuliano Verrocchi. L’influenza di questo poliedrico
artista su Leonardo fu probabilmente superiore a quanto si sia fino ad oggi creduto.
La prima nota del Genio vinciano fu il celebre angelo porta-tunica (genuflesso
in basso con un altro piccolo angelo) nel Battesimo di Cristo del
Verrocchio.
[2] Le lunghe e continue panche
di via furono un’invenzione sociale realizzata come evoluzione dei paracarri
a protezione dello zoccolo delle facciate; tipiche quelle del Palazzo
Bartolini-Salimbeni, sempre occupate da turisti quelle di Palazzo Strozzi e di
tanti edifici storici rinascimentali.
[3] La trattoria “Il Pennello” di
Mariotto Albertinelli esiste ancora: è poco distante
dal Museo Casa di Dante, e il suo ingresso è sormontato da una terracotta
antica che ritrae Mariotto.
[4] Tra le più conservate torri
medievali la Torre della Castagna è situata nella piccola piazza San Martino
all’angolo con Via Dante Alighieri di fronte alla Chiesa di San Martino dove all’esterno
si vede ancora la cassa della limosina per i poveri vergognosi, ossia coloro
che nascondevano lo stato di indigenza; quando la cassa era vuota, i monaci
accendevano un lumicino, da cui il modo di dire “la speranza è ridotta al
lumicino”.
[5] Discendo per parte di madre da
Cesare Petrucci, che ha lasciato nella tradizione familiare il piacere del
ragionamento condiviso e della riflessione dialogata.
[6] Dai documenti storici risulta
che dal 1512 prese a indossare il cilicio, divenne terziaria francescana, poi
seguace di San Bernardino da Siena e Santa Caterina e, per soccorrere i poveri,
fondò il Monte di Pietà di Ferrara. L’accusa di incesto, rivolta da Giovanni
Sforza alla famiglia della moglie, fu una calunnia a scopo diffamatorio. La
fama di avvelenatrice si deve alla ottocentesca fantasia di Victor Hugo che la
rese una figura diabolica nella tragedia poi musicata da Donizetti.
[7] Anna Maria Luisa de’ Medici si
forma in questa tradizione e sarà per sempre ricordata per aver donato ai
cittadini di Firenze tutti i tesori d’arte della famiglia Medici istituendo la
prima forma di museo moderno.
[8] Durante lo studio per il “Progetto
Pontormo”, che la nostra società scientifica attuò in collaborazione con Alessandro
Vannini dell’Accademia di Firenze e Massimo Pivetti del Gabinetto dei Disegni e
delle Stampe degli Uffizi, ho avuto modo di parlare di Leonardo con molti
studiosi e appassionati di ricerca delle sue tracce in Firenze.
[9] Seneca, Lettere a Lucilio,
124, 11-12 in Tutte le Opere, a cura di G. Reale, Bompiani, Milano 2000.
[10] Carlo Pedretti (1928-2018),
considerato già da Kenneth Clark il massimo esperto di Leonardo per i suoi
contributi alla conoscenza e all’interpretazione dei manoscritti, su incarico
della regina Elisabetta curò lo studio e la raccolta dei frammenti del Codice
Atlantico della collezione reale e la sistematizzazione di tutti i disegni
della Royal Library; ha curato le principali edizioni in facsimile dei codici
leonardiani e delle raccolte di disegni della Biblioteca Reale di Torino e del
Gabinetto dei Disegni e delle Stampe degli Uffizi. Autore di oltre cinquanta
volumi e più di cinquecento tra saggi e articoli su Leonardo.
[11] Carlo Pedretti, Il genio in
presa diretta, in Leonardo – Arte e Scienza, p. 8, Giunti, Firenze
2000.
[12] Questa immaturità, se è
caratterizzata da un difetto di identità, che non consente di percepirsi come “individuato
in forma compiuta e distinta dagli altri”, predispone al sentimento dell’invidia
e alla meschinità del mancato riconoscimento del valore altrui, nel caso di persone
reali con le quali si è in rapporto, e a una certa antipatia preconcetta o ostilità
inconsapevole, nel caso di personaggi della storia.
[13] Si vuole che il padre di
Raffaello volesse mandare il figlio a bottega da Leonardo, ma poi gli abbia
preferito Pietro Perugino, collega di Leonardo alla bottega del Verrocchio, perché
più rassicurante.
[14] Più avanti si darà conto del
primo studio anatomico condotto da Leonardo, al quale risale il maggior numero
di disegni anatomici, in particolare quelli più celebri conservati presso la
Royal Library di Londra. Gli studi successivi, sempre condotti con medici che
dirigevano l’autopsia e assistenti che svolgevano con perizia tutte le mansioni
tecniche, lo indussero a concepire il progetto di realizzare, a similitudine
della Cosmografia di Tolomeo, un atlante del corpo.
[15] Monica Lanfredini, L’identità
della Gioconda e la psicologia degli storici dell’arte. (Nella sezione “IN
CORSO” di questo sito).
[16] Si veda in Monica Lanfredini, L’identità
della Gioconda e la psicologia degli storici dell’arte. (Nella sezione “IN
CORSO” di questo sito). Queste righe vergate dal maestro sono state considerate
tra le prove della sua eterosessualità.
[17] Nel Monastero di San Marco
dimorò Fra’ Bartolomeo (Baccio della Porta), amico e collega di Leonardo,
quando il priore era Girolamo Savonarola, e vi dimorarono Sant’Antonino,
arcivescovo di Firenze, Cosimo il Vecchio e Beato Angelico.
[18] Vi aveva dimorato con Morto da
Feltre dopo il ritorno imprevisto da Milano, lasciando interessanti tracce
murali, ancora oggetto di studio. Partecipava alle funzioni sacre nella chiesa
del complesso monastico dove la famiglia del Giocondo aveva una cappella e Lisa
Gherardini del Giocondo si fermava a pregare.
[19] Si legge ancora, talvolta, che
la scrittura speculare di Leonardo fosse dovuta al suo essere mancino: la
scrittura speculare, rinvenuta anche in altri pittori dell’epoca, originava da
un esercizio di bottega: l’asimmetria di uso di una sola mano (destra)
si vide che creava tendenze asimmetriche nel disegno; l’uso della sinistra al
pari della destra, cercando di divenire ambidestri, migliora la capacità di
rendere con la stessa precisione entrambi i lati di un modello da copiare. L’esercizio
di bottega deriva da quelli praticati dai monaci miniatori, decoratori, ecc. Molti
codici erano scritti dagli amanuensi in scriptio continua con la tecnica
della scrittura bustrofedica (come nel movimento dei buoi nel
tracciare i solchi con l’aratro) ossia una riga di parole da sinistra a destra
e la successiva da destra a sinistra, poi di nuovo sinistra-destra, e così di
seguito alternando le direzioni fino alla fine del testo.
[20] Leonardo, costantemente alla ricerca
di principi generali come guida dell’intelletto, tende sempre a giungere dall’esperienza
a formulazioni teoriche, come si rileva nel “Trattato sulla Pittura” reso
pubblico postumo.
[21] Carlo Pedretti, Leonardo –
Arte e Scienza, p. 128, Giunti, Firenze 2000.
[22] Epicuro, Lettera a Pitocle in Lettera sulla felicità, p. 46, BUR Rizzoli,
Milano 2005.
[23] Epicuro, op. cit., idem.
[24] Et io quadro il cerchio
in Carlo Pedretti, Leonardo – Arte e Scienza, p. 137, Giunti, Firenze
2000.
[25] Et io quadro il cerchio
in Carlo Pedretti, op. cit., p. 137.